Come funzionano i raggi X?

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La scienza che si cela dietro quegli occhiali penetranti che sono i raggi x, dalle applicazioni mediche ai rischi per la salute.

Innanzitutto, partiamo dicendo che la domanda “come funzionano i raggi x?” è concettualmente sbagliata ma asseconda il senso di percezione comune di una pratica medica che nel tempo ha rivoluzionato la diagnostica, la radiografia. Mettiamo in ordine i concetti e analizziamo punto per punto il fenomeno, in modo da ben comprendere come fanno le radiografie a guardare nel nostro corpo.

Cos’è la radiografia?

La radiografia è una tecnica di diagnostica medica in grado di, letteralmente, scattare delle foto ad alcuni componenti interni del nostro corpo, come le ossa. Essa sfrutta, a questo scopo, un particolare tipo di radiazioni ionizzanti, i raggi x: grazie alle caratteristiche di queste radiazioni, è possibile impressionare una lastra fotografica ed ottenere l’immagine di alcuni organi interni al corpo. Cerchiamo adesso di comprendere meglio in cosa consistono i raggi x.

Raggi X: proprietà e caratteristiche

Quando si parla di raggi x ci si riferisce ad un insieme di onde elettromagnetiche specificato da un certo range di lunghezze d’onda, che va dai 10 nanometri ai 10 picometri. La differenza fra raggi x e radiografia è quindi chiara: i raggi x sono delle onde elettromagnetiche che trasportano una certa energia, mentre la radiografia è una tecnica medica che utilizza ai suoi scopi i raggi x.

Raggi X: energia e radiazioni ionizzanti

Ogni onda elettromagnetica, come sappiamo, trasporta una certa quantità di energia. I raggi x sono tra le radiazioni più energetiche dello spettro, con energie circa comprese fra i 100 ed i 1000 elettronvolt.

I raggi x fanno parte della categoria delle radiazioni ionizzanti, ovvero sono radiazioni così tanto energetiche da essere in grado di strappare elettroni agli atomi neutri, ionizzandoli. Proprio per questo motivo i raggi x sono potenzialmente pericolosi e bisogna maneggiarli con attenzione.

Radiografia: come i raggi X vedono nel corpo

Il concetto alla base della radiografia sta nel fatto che diversi materiali assorbono in modo diverso la radiazione incidente. Spiegando più nel dettaglio, mediante un apposito apparecchio è possibile creare un fascio di raggi x e “spararlo” sulla parte del corpo da analizzare: i raggi x, onde elettromagnetiche che trasportano parecchia energia, trovano davanti al proprio cammino diversi oggetti e materiali (pelle, carne, ossa, tendini ecc.) che reagiscono al loro passaggio in modo diverso.

Le ossa, ad esempio, trattengono molto più facilmente l’energia dei raggi x che le attraversano mentre i polmoni ne assorbono una quantità praticamente nulla.
Dietro il corpo l’operatore posiziona, inoltre, una lastra fotografica che viene impressa dai raggi x che la raggiungono e la fanno apparire scura: quindi le zone della lastra in cui i raggi non vengono assorbiti dal corpo (tipo le zone dei polmoni) appaiono scure, mentre quelle che vengono raggiunte da pochissimi raggi perché assorbiti dal corpo (tipo le zone delle ossa) appaiono chiare.
Questo metodo fornisce una vera e propria fotografia interna del corpo, chiaramente con i suoi limiti osservativi.

Rischi derivati dall’esposizione ai raggi X

Essendo radiazioni molto energetiche, ripetiamo, i raggi x rientrano nella categoria delle radiazioni ionizzanti e quindi potenzialmente pericolose per la salute. Generalmente la dose di radiazioni profilata con una radiografia è molto al di sotto della soglia minima di sicurezza; tuttavia, è un fatto che l’esposizione alle radiazioni risulta essere cumulativa, e quindi indipendentemente dall’intervallo di tempo che intercorre fra un esame e l’altro, esporsi ad un ingente quantità di radiazioni x per via di numerosi esami può essere la causa per dei problemi di salute.

Evitando allarmismi, però, dobbiamo essere consapevoli che con i raggi x non abbiamo a che fare solo quando ci sottoponiamo ad una radiografia, ma ogni giorno siamo esposti a più o meno radiazioni naturali, alle quali il nostro corpo è abituato: come in molti casi, infatti, è la dose che uccide e non il veleno.

a cura di Nicola Salvemini

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