Il capolavoro di Enrico Fermi: la teoria del decadimento beta e l'interazione debole

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Enrico Fermi è stato uno dei più importanti fisici Italiani nella storia. Unico per la sua eccezionale abilità sia nella teoria che nell’esperimento. In questo articolo analizziamo quello che è stato il suo capolavoro teorico: la teoria del decadimento beta

Il contesto storico

Siamo intorno al 1930, in quegli anni si intensificano gli studi sulla radioattività: il decadimento spontaneo di nuclei instabili in nuclei di energia inferiore con emissione di radiazione. A seconda del tipo di radiazione emessa vengono classificati i decadimenti nei tre tipi sperimentalmente osservati: alfa, beta e gamma. L’unico cui la teoria quantistica è in grado di fornire spiegazione è il decadimento α. I restanti rappresentano carne al fuoco per la nuova fisica teorica.

Al fine di comprendere meglio i problemi della fisica teorica moderna, Fermi organizza nell’ottobre del 1931 un congresso internazionale di fisica nucleare cui invita i più grandi scienziati mondiali del calibro di Marie Curie, Niels Bohr, Arthur Compton, Werner Heisenberg, Patrick Blochett, Robert Millikan e Wolfgang Pauli. Durante il congresso vengono messe a fuoco le questioni centrali, teoriche e sperimentali, ancora aperte ed emergono idee innovative per la loro soluzione. Fin da subito cominciano a vedersi i risultati: gli anni successivi al congresso sono un susseguirsi di scoperte importantissime da parte di praticamente ciascuno di questi scienziati e altri.

Il congresso e le scoperte del tempo ispirano Fermi e lo portano tra il 1933 e il 1934 alla spiegazione del decadimento beta.

Cos’è il decadimento beta?

Tra i vari decadimenti radioattivi si osservano sperimentalmente quelli che producono radiazione β. Dall’analisi di quest’ultima si scopre che essa non è altro che un fascio di particelle con massa dell’elettrone e carica pari a quella dell’elettrone o opposta, dunque un fascio composto da elettroni e/o positroni. I nuclei risultanti dal decadimento hanno invece lo stesso peso atomico del nucleo madre e numero atomico più grande o più piccolo di un’unità rispetto al nucleo madre. Era chiaro ormai che il nucleo atomico fosse composto solo da neutroni e protoni.

Dall’osservazione che il nucleo decaduto ha stesso numero di massa e numero atomico che differisce di un’unità rispetto al nucleo madre si comprende che il processo consiste essenzialmente nella trasformazione di un neutrone in un protone o viceversa. Supponendo che si abbia la conservazione della carica elettrica (carica iniziale uguale a carica finale) il processo fondamentale del decadimento beta deve quindi consistere in:
• un protone che diventa un neutrone con emissione di un positrone (β+);
• un neutrone che si trasforma in un protone con emissione di un elettrone (β-);

Le difficoltà di spiegazione

Sono principalmente due le difficoltà incontrate dai fisici per spiegare questo fenomeno con le conoscenze note in quel periodo:

1. Se è vero che il processo essenzialmente è uno dei due descritti, allora teoricamente l’elettrone (o positrone) emesso deve avere un’energia che si aggira intorno alla differenza di massa tra nucleo madre e nucleo figlio. Gli esperimenti invece mostrano che la radiazione β viene emessa con un intervallo di energie molto più ampio;

2. Come fanno protone e neutrone a trasformarsi l’uno nell’altro? Se il nucleo è composto solo da protoni e neutroni da dove esce fuori l’elettrone (o il positrone)?

Il primo a elaborare un’idea di soluzione al primo problema è Wolfgang Pauli. Egli propone che, affinché valga la conservazione dell’energia, durante il decadimento venga prodotto non solo l’elettrone (o positrone) ma anche una nuova particella di massa enormemente piccola, carica zero e molto poco interagente, in modo da giustificare la sua mancata osservazione. L’idea si rivelerà corretta e la particella di cui si sta parlando verrà chiamata neutrino.

Riguardo la seconda questione, proprio in quegli anni si sta iniziando ad accettare in fisica la possibilità di transizioni in cui particelle si trasformano in altre e/o vengono completamente create o distrutte alcune particelle durante il processo. Non solo, è già disponibile la teoria di Dirac per spiegare questi fenomeni sfruttando l’interazione reciproca delle particelle attraverso il campo elettromagnetico. Essa viene confermata nel 1932 con l’osservazione del processo: elettrone e positrone che si annichilano generando un fotone (quanto del campo elettromagnetico nonché particella costituente la luce).

Il lavoro di Fermi

L’operato di Fermi consiste essenzialmente nell’unire queste due idee. Nel rifarsi alla teoria di Dirac che usa il campo elettromagnetico per spiegare i processi, introduce però un nuovo campo responsabile del decadimento beta, il campo di Fermi. Si tratta di un oggetto astratto di cui non si è mai parlato prima, ma Fermi ha la necessità di introdurlo perché per spiegare il decadimento beta gli serve un campo con proprietà nuove rispetto a quelli noti fino a quel momento in fisica teorica.

Si tratta di un capolavoro: più che per la spiegazione con calcoli dettagliati del decadimento beta, l’importanza del lavoro di Fermi risiede nell’innovazione che esso ha portato in fisica teorica. Il campo di Fermi è oggi detto campo debole e la sua introduzione ha aperto un nuovo settore: la fisica delle interazioni deboli. Esse completano il quadro: insieme alle interazioni gravitazionali, elettromagnetiche e forti costituiscono quelle che oggi sono note come le interazioni fondamentali.

Cosa sono le interazioni fondamentali? Cos’è l’interazione debole?

La materia comunica continuamente, a distanza, con altra materia. Ad esempio terre e stelle si parlano a distanza grazie all’interazione gravitazionale. È essa la responsabile della conformazione che ben conosciamo del sistema solare. L’interazione che siamo abituati a usare ogni giorno è quella elettromagnetica. Grazie ad essa premendo un tasto sul telecomando agiamo a distanza facendo accendere il televisore, oppure comunichiamo al telefono e ascoltiamo la radio. Allo stesso modo in cui la forza gravitazionale spiega che i pianeti girano intorno al sole, quella elettromagnetica regola la struttura dell’atomo, con gli elettroni che ruotano attorno al nucleo.

Invece come fanno i protoni, che elettricamente si respingono, a stare così ben compatti a formare, insieme ai neutroni, il nucleo atomico? Ad agire qui è quindi un’altra interazione, che attrae tra loro i protoni molto intensamente ed è per questo detta interazione forte. Se queste tre sono responsabili della conformazione di sistema solare, atomo e nucleo, di cosa si occupa invece l’interazione debole di Fermi? Con l’avvento della teoria di Dirac sull’interazione elettromagnetica si è compreso ancor più profondamente come vada inteso il concetto di interazione. Più che vederlo come un canale di comunicazione a distanza tra le particelle, esso è il responsabile delle trasformazioni delle particelle.

L’interazione a distanza fin qui descritta non è altro che il caso particolare di trasformazione banale, ovvero in cui le particelle finali corrispondono esattamente a quelle presenti all’inizio. Più in generale la trasformazione però potrà riguardare la distruzione di particelle iniziali e la creazione di particelle finali. Fermi coglie questa idea e introduce l’interazione debole, l’unica in grado di spiegare la trasformazione di neutroni in protoni e viceversa all’interno dei nuclei, nonché di nuclei in nuclei di specie diversa. Si dice infatti che l’interazione debole sia la responsabile dei fenomeni di radioattività.

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Per toccare con le vostre stesse mani il concetto di interazione vi consigliamo di fare il seguente esperimento:

Prendete un braccialetto elastico e inserite l’indice della mano destra ad una estremità, l’indice della mano sinistra all’altra. Con uno dei due tirate verso l’esterno, cercando di allungare l’elastico. Noterete che immediatamente avvertite una spinta sull’altro indice, quello fermo. Avete così fatto interagire le due dita tra loro a distanza, senza metterle a contatto, tramite l’elastico.

Questo è, visivamente, il concetto di interazione. Allo stesso modo in cui le due dita risentono l’una dell’altra attraverso l’elastico, i pianeti lo fanno attraverso l’interazione gravitazionale, elettrone e protone attraverso l’elettromagnetica, neutroni e protoni attraverso l’interazione nucleare forte.

E l’interazione debole di Fermi? Non basta un elastico per visualizzarla, trattasi non solo di interazione a distanza ma di trasformazione delle particelle coinvolte. Difficile spiegarlo, figuriamoci immaginarlo, eppure Enrico Fermi è riuscito a farlo.

a cura di Giuseppe Mansi

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