Interstellar: tutta la fisica di uno dei film più amati di sempre
La trama di Interstellar
In un futuro in cui il pianeta Terra è in crisi a causa di un drastico cambiamento climatico che colpisce l’agricoltura, Cooper, un ex ingegnere e pilota della NASA, decide di partire per una missione spaziale che ha come scopo quello di trovare un nuovo pianeta abitabile e salvare il futuro dell’umanità. Un obiettivo nobile che presenta, purtroppo, non pochi sacrifici e difficoltà. Cooper, infatti, lascia a casa due figli: l’adolescente Tom e la brillante Murphy, con la quale condivideva un legame speciale. Il protagonista è chiaramente consapevole che la sua partenza per un mondo lontano gli impedirà di rivedere i suoi figli per molti anni, ma ben presto le cose si complicano ulteriormente: la relatività di Einstein e tutte le possibili problematiche che possono insorgere in una missione spaziale di questo tipo, infatti, non vanno di certo in suo aiuto.
Cambiamento climatico, viaggi spaziali, esopianeti abitabili, wormholes, forza di gravità, dilatazione temporale, buchi neri e tanto altro ancora: la protagonista del capolavoro di Nolan diventa, quindi, proprio la Fisica. Proviamo ad analizzarla passo dopo passo, ripercorrendo la trama di uno dei film più amati di tutti i tempi.
Il cambiamento climatico
Partiamo da un tema che, con il trascorrere degli anni, diventa sempre più attuale: la questione del cambiamento climatico. La pellicola di Nolan ci mostra sin dai primi minuti un futuro non definito in cui la Terra è afflitta da gravi carestie e tempeste di sabbia, a seguito di una catastrofe naturale nota come “La Piaga”, che renderà il pianeta inospitale per ogni forma di vita e porterà all’estinzione della razza umana nel giro di poche generazioni.
Lo scenario apocalittico profetizzato dal regista, infatti, potrebbe essere più vicino alla realtà di quanto crediamo: basti pensare al fatto che dieci anni fa, al primo lancio del film nelle sale cinematografiche, la crisi climatica appariva ancora a molti come una distopia lontana. Al contrario, in questi ultimi anni, sempre più persone si mostrano sensibili al tema, probabilmente perché vivono in prima persona molte delle conseguenze associate al surriscaldamento globale, come ad esempio ondate di calore, siccità, incendi e alluvioni, ormai sempre più frequenti.
All’interno del film, gli sceneggiatori non fanno esplicitamente riferimento alle cause che hanno portato il pianeta ad un punto di non ritorno, piuttosto presentano la situazione sulla Terra come un dato di fatto e si tenta di individuare possibili soluzioni in grado di salvare l’intera umanità. Sebbene fortunatamente ancora distanti dallo scenario di Interstellar, è indubbio il fatto che il cambiamento climatico, della cui fisica abbiamo parlato in modo più approfondito in un altro nostro articolo, rappresenti già da tempo l’enorme emergenza che l’uomo deve essere in grado di affrontare nel corso del XXI secolo e, la visione di questo film, non può che metterci in guardia sull’importanza del tema.
Il wormhole: un corridoio d’accesso verso un’altra galassia
Dinanzi agli eventi catastrofici che mettono in serio pericolo il futuro del genere umano, l’unica possibile soluzione sembra essere quella di trovare nuovi pianeti abitabili, in grado di garantire la sopravvivenza dell’umanità. Consapevoli di non poter trovare tali pianeti all’interno del sistema solare, il professor Brand e il suo team di scienziati della NASA, trovano speranza in un wormhole misteriosamente apparso nelle vicinanze di Saturno, un cunicolo spazio-temporale che può permettere in poco tempo l’accesso ad una galassia molto lontana, potenzialmente in grado di ospitare pianeti abitabili dall’uomo.
Ma la fisica prevede davvero l’esistenza dei wormholes? Per il momento si tratta di tunnel spazio-temporali che appartengono unicamente al mondo della fisica teorica e della fantascienza, dal momento che non abbiamo prove sperimentali che dimostrino la loro esistenza. Tuttavia, sebbene resti da verificare che esistano effettivamente, queste strutture risultano coerenti con la teoria della relatività generale e possono essere immaginate come tunnel con due estremità in punti separati dello spazio-tempo. Nel film, l’astronauta Romilly riesce a darne una spiegazione utilizzando soltanto un semplice foglio di carta: se lo spazio fosse bidimensionale, per spostarci da un punto “A” a un punto “B” del foglio dovremmo disegnare una linea. Tuttavia, se potessimo piegare il foglio, creando così un varco, l’attraversamento da un punto all’altro diventerebbe immediato, permettendoci di accorciare tempi e distanze per raggiungere galassie anche molto lontane.
Alla ricerca di esopianeti abitabili
Purtroppo individuare pianeti che abbiano le giuste caratteristiche per poter ospitare la vita è, come già anticipato in un altro nostro articolo, un’operazione tutt’altro che scontata. Uno degli aspetti fondamentali in quest’ambito di ricerca è la verifica della posizione del pianeta nella cosiddetta “zona abitabile”: una zona orbitale specifica che offre le condizioni necessarie affinché l’acqua possa trovarsi in forma liquida sulla superficie del pianeta. La presenza di acqua liquida però è soltanto uno dei numerosi fattori da considerare: tra i vari elementi da tenere in considerazione c’è ad esempio la luce ultravioletta della stella attorno alla quale orbitano i pianeti. La radiazione ultravioletta se da un lato favorisce la formazione di zuccheri primari che contribuiscono allo sviluppo della vita, dall’altro può risultare dannosa. Occorre dunque identificare un pianeta che si trovi nella zona abitabile e che presenta livelli di radiazione né troppo intensi né eccessivamente deboli.
In Interstellar, però, davvero nulla è lasciato al caso. Un decennio prima della partenza di Cooper, è nata la missione “Lazarus”: 12 astronauti in altrettanti pianeti per poterne analizzare le potenziali capacità abitative, in viaggi di sola andata. Dopo aver attraversato il wormhole, Cooper e il suo equipaggio decidono di visitare il pianeta scelto per l’astronauta Miller, un pianeta oceanico e senza terraferma. Qui però iniziano a sorgere i primi problemi: la fortissima gravità dovuta alla presenza del vicino buco nero supermassiccio Gargantua provoca un’intensa forza di marea che innalza un’enorme onda anomala, travolgendo il modulo volante e ritardando il ritorno degli astronauti a bordo dell’Endurance.
La dilatazione del tempo
Per Cooper e Amelia sono trascorse solo alcune ore, ma nella scala di tempo terrestre il ritardo dovuto all’incidente sul pianeta di Miller è costato ben 23 anni. Questo Einstein lo sa molto bene: secondo la sua teoria della relatività generale, oggetti massicci come i buchi neri curvano la geometria dello spazio-tempo, facendo sì che il tempo scorri più lentamente nelle loro vicinanze. Una sola ora trascorsa sul pianeta di Miller, infatti, equivale a ben sette anni trascorsi sul pianeta Terra: una volta tornato a bordo dell’Endurance, Cooper scopre addirittura di essere diventato nonno e che sua figlia ha raggiunto la stessa età che lui aveva al momento della partenza.
La fionda gravitazionale
Dopo un altro inconveniente sul pianeta di Mann e la scoperta dell’imperdonabile bugia del professor Brand, Cooper e Amelia, gli unici superstiti dell’equipaggio, si ritrovano con risorse limitate per il rientro a casa. Per risolvere il problema, Cooper propone di utilizzare una fionda gravitazionale intorno a Gargantua: in realtà niente di troppo fantascientifico, se non fosse per il fatto che nel film viene utilizzato un buco nero. La fionda gravitazionale, infatti, è una tecnica di volo spaziale che viene usata da tempo dalle sonde spaziali per aumentare la loro velocità e modificare la loro traiettoria sfruttando il campo gravitazionale di un corpo celeste, come una pianeta. Attualmente, è il metodo comunemente più usato per le missioni indirizzate verso i pianeti esterni, il cui arrivo a destinazione sarebbe praticamente impossibile, per motivi chiaramente legati ai costi e ai tempi.
All’interno di Gargantua
Cosa c’è all’interno di un buco nero? Cosa succede al nostro corpo quando entriamo al suo interno? Ammettiamolo: almeno una volta ci siamo posti queste domande. Recentemente, la NASA ha provato a risponderci con una simulazione sviluppata da un supercomputer, in grado di farci visualizzare cosa accadrebbe se oltrepassassimo l’orizzonte degli eventi, ossia il punto di non ritorno, un limite matematico che indica la distanza oltre la quale niente, nemmeno la luce, è in grado di fuggire.
Senza dubbio il protagonista di Interstellar conosce molto bene ciò che avviene all’interno di Gargantua, il buco nero con una massa 100 milioni di volte più grande di quella del Sole, nel quale decide di tuffarsi nell’ultima parte del film, sacrificandosi in favore di Amelia. Cooper, infatti, si ritrova ben presto all’interno di un tesseratto a quattro dimensioni dove è rappresentata la libreria della camera da letto di sua figlia in tutti i momenti della sua vita.
In realtà, limitandoci alla descrizione di un buco nero secondo la relatività generale, oltrepassando l’orizzonte degli eventi, Cooper non sarebbe in grado di sopravvivere: egli infatti sperimenterebbe gli effetti dovuti alle sollecitazioni gravitazionali sempre più intense a cui sarebbe sottoposto, andando incontro ad un processo a tutti noto come spaghettificazione, che ridurrebbe la materia di cui è composto ad una striscia destinata a diventare sempre più lunga e sottile.
Sapevate che…
Kip Thorne, uno dei più grandi esperti mondiali di gravità e teorie cosmologiche, è stato il produttore esecutivo e il consulente scientifico di Interstellar. Un successo che non si ferma al cinema: nel 2017, ha ricevuto il premio Nobel per la fisica, con Rainer Weiss e Barry Barish, “per il suo contributo fondamentale allo sviluppo del rivelatore LIGO e per la scoperta delle onde gravitazionali”.
a cura di Giada Cacciapaglia